Il progetto blackout, di cui drugs fa parte, nasce a inizio 2012 e si concentra sull’esistenza di una persona affetta da disposofobia, che dal 1917 ha accumulato materiali di ogni sorta. A differenza dei collezionisti, il soggetto disposofobico accumula oggetti in maniera disorganizzata, ha difficoltà a separarsi dalle cose anche di scarso valore e mantiene un bisogno impellente di acquisire e conservare oggetti, provando una forte angoscia quando è costretto a separarsene o addirittura al solo pensiero di doverlo fare. Le stanze si riempiono talmente tanto da non essere più vivibili; servono solo ad accumulare, il lavandino può essere coperto da pile di giornali accumulati, così come i piani di lavoro, i fornelli e il pavimento della cucina, che di fatto non è più utilizzabile per cucinare i pasti.
L’artista, interessato ai comportamenti anomali e al rapporto con la devianza, si è introdotto negli spazi intimi del soggetto in questione, rimasto anonimo, documentando ciò che ha visto attraverso un’opera video, un’installazione ambientale, una teca con immagini, oggetti, sostanze per la cura e lavori fotografici.